La certificazione delle piantagioni di olio di palma ha effetti indesiderati

Veduta satellitare della regione di Sabah in Malesia, dove è stato condotto lo studio sulle piantagioni di olio di palma.
© Credit: European Union, Copernicus Sentinel-2 imagery [from 2020-11-06]

L’efficienza delle piantagioni di olio di palma in Malesia è diminuita dopo la certificazione di sostenibilità. Lo dimostrano dati satellitari indipendenti. Ciò potrebbe avere conseguenze negative sull’ambiente e sui piccoli produttori.

I certificati di sostenibilità di per sé sono una buona cosa. Il label apposto sulla confezione garantisce il rispetto di determinati standard ambientali e sociali durante la produzione. Molti consumatori e consumatrici sono attenti a questo aspetto, per il quale sono disposti a pagare di più. «Tuttavia, come dimostra la ricerca, i certificati possono anche avere ripercussioni indesiderate. Ad esempio, prestando troppa attenzione all’ambiente, può darsi che gli aspetti sociali vengano trascurati e viceversa», sottolinea Nina Zachlod.

Con il sostegno del FNS, la dottoranda Nina Zachlod ha monitorato le piantagioni di olio di palma in Malesia utilizzando dati satellitari. Del suo team facevano parte anche Charlotta Sirén, Michael Hudecheck e George Gerard. Insieme sono riusciti a dimostrare che il processo di certificazione può portare a perdite di efficienza impreviste.

L’olio di palma si trova, tra l’altro, negli alimenti, nei mangimi, nei cosmetici, nei prodotti per la pulizia e nel biodiesel. La domanda globale è in costante aumento, anche perché si consumano sempre più alimenti trasformati contenenti olio di palma. Nel biennio 2002–2003 il consumo globale era di circa 30 milioni di tonnellate; quest’anno, si prevede che il consumo raggiungerà quasi 80 milioni di tonnellate. Per fare spazio a nuove palme da olio, negli ultimi decenni nel Sud-Est asiatico sono stati irrimediabilmente distrutti molti chilometri quadrati di foresta pluviale.

Oggi esistono numerosi certificati di sostenibilità che mirano a ridurre gli impatti negativi di tali piantagioni sull’ambiente e sul benessere collettivo. I produttori di olio di palma di oltre 100 Paesi hanno pertanto aderito all’indipendente «Roundtable on Sustainable Palm Oil», in italiano «Tavola rotonda sull'olio di palma sostenibile». L’organizzazione non profit, ad esempio, ha già rilasciato un certificato a tutti i principali produttori della Malesia. La Nazione è il più grande produttore di olio di palma al mondo dopo l’Indonesia.

Le immagini satellitari mostrano piantagioni più rade

Anche per questo motivo Zachlod ha scelto per la sua analisi una regione della Malesia. Per tracciare la produttività delle piantagioni di palma da olio, il suo team si è servito delle immagini satellitari dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), liberamente disponibili per scopi di ricerca.

«L’analisi di dati satellitari ha un grande potenziale, che però viene utilizzato ancora troppo raramente, soprattutto nelle scienze economiche», spiega la coautrice Charlotta Sirén, direttrice dell’Institute of Responsible Innovation dell’Università di San Gallo (HSG). Il grande vantaggio è che la ricerca non dipende da dati resi disponibili dalle aziende o dall’esattezza delle cifre da loro pubblicate siano corrette.

Nel progetto il team, per misurare l’efficienza, ha preso in considerazione la parte della piantagione visibilmente coperta da palme da olio. Quanto più alta è la percentuale di copertura della piantagione con palme da olio, tanto più alta è la produttività, questo è il ragionamento. Utilizzando le immagini satellitari i ricercatori hanno determinato la superficie di copertura delle palme da olio in 144 piantagioni in corrispondenza della punta settentrionale del Borneo. Questo per gli anni compresi tra il 2017 e il 2023, cioè prima, durante e dopo la certificazione.

Circa la metà delle piantagioni monitorate apparteneva a un grande produttore, l’altra metà a piccoli fornitori. L’analisi delle immagini ha mostrato una continua riduzione della copertura delle piantagioni a partire dal 2018, anno in cui sono stati resi noti i criteri di certificazione. I cambiamenti non erano riconducibili a eventi come la carenza prolungata d’acqua o le fluttuazioni dei prezzi.

«Presumibilmente, a partire da quel momento sono state adottate misure preparatorie per la certificazione, che hanno portato a una minore efficienza produttiva», ipotizza Zachlod.

Adeguare i criteri del label

Il certificato non stabilisce però che l’efficienza debba essere ridotta. Si tratta di una conseguenza non prevista, forse dovuta al fatto che si può utilizzare meno fertilizzante. Nella documentazione relativa al certificato non ci sono riferimenti o considerazioni in merito a questa conseguenza potenzialmente prevedibile.

Zachlod teme che la perdita di efficienza possa avere conseguenze negative: «I produttori, come compensazione, potrebbero creare nuove piantagioni». Un aumento delle superfici coltivate infatti potrebbe controbilanciare nel lungo periodo il calo di produttività e quindi la perdita di profitto. I produttori non dovrebbero farlo nelle foreste pluviali tropicali protette, ma potrebbero comunque agire in aree che presentano ancora da una ricca biodiversità.

«Naturalmente non è questo l’effetto che un tale certificato dovrebbe avere. Anche perché le nuove piantagioni potrebbero non venire certificate», osserva Zachlod. Inoltre i piccoli fornitori potrebbero trovarsi inaspettatamente in difficoltà finanziarie se la produzione della loro piantagione diminuisse in seguito alla certificazione.

I risultati di analisi di questo tipo potrebbero contribuire a contrastare gli effetti collaterali indesiderati. Ad esempio, modificando i criteri per il rilascio dei certificati. Nel caso delle piantagioni di palma da olio, in particolare, sarebbe opportuno vagliare se sia necessario modificare le direttive relative all’uso di fertilizzanti o alla gestione delle piantagioni. «Specialemente se questo può impedire la diffusione delle piantagioni in aree ancora intatte», conclude Zachlod.

I piccoli produttori dovrebbero venire informati adeguatamente e in anticipo sulle possibili perdite di resa derivanti dalla certificazione, in modo da poter decidere meglio se farsi certificare o meno. «La ricerca dovrebbe quindi assolutamente continuare a esaminare questi effetti indesiderati».